Di Igor Pakovic
Ormai è un fatto conclamato. I Piani individuali di risparmio, battezzati dalla legge di Stabilità dello scorso autunno e introdotti sul mercato da un numero crescente di banche e società di gestione del risparmio, hanno “intasato” fin da subito i propri canali di distribuzione, tant’è che in molti si aspettano che possano superare le stime iniziali di raccolta previste dal Governo.
L’azzeramento dell’imposta sui redditi generati da investimento per questi prodotti finanziari ha sicuramente giocato a loro favore.
Tuttavia, non sono pochi gli operatori di mercato e consulenti finanziari che hanno messo in discussione la struttura dei Pir e, in particolare, il loro volano commerciale, il beneficio fiscale di cui sopra. Uno dei punti sollevati, per esempio, è che non vi è alcuna certezza in termini di performance e rendimento dei Pir, e che quindi senza di questi il beneficio fiscale sulle perdite diventa superfluo.
Marco Rosati, a.d. di Zenit SGR, non è tra questi: “Le polemiche sui benefici fiscali sono sterili, inutili e purtroppo rappresentano un malcostume italiano”. Per il numero uno della società di gestione del risparmio, “finanziare l’economia reale e pretendere che ci sia allo stesso tempo chissà chi che garantisca il rendimento non sta né in cielo né in terra. Non saprei chi potrebbe essere questa entità suprema che garantisca un rendimento. Ciò detto, avere introdotto il beneficio fiscale della totale esenzione degli eventuali utili mi sembra molto rilevante e costituisce sicuramente uno stimolo”.
Un’altra fonte di polemica nelle ultime settimane è arrivata da chi ha definito i Pir come un “concentrato di rischia Italia”, come se, aggiunge Rosati, “i portafogli degli italiani non fossero già un concentrato di rischio Italia”. Tra titoli di Stato, obbligazioni bancarie, depositi banca e quant’altro, commenta l’a.d. di Zenit, “forse i Pir sono la migliore diversificazione, sempre che un risparmiatore non investa tutto il suo capitale in un unico strumento di questo tipo”.
Oltre al comparto obbligazionario Pir compliant, Zenit SGR è stato il primo operatore a entrare nel segmento azionario, cambiando la politica di gestione di un fondo preesistente, il Pianeta Italia, per renderlo aderente alla nuova normativa.
“Come raccolta totale dei Pir, abbiamo superato da poco i 30 milioni di euro”, spiega. Per quanto riguarda la scomposizione di questa raccolta, aggiunge il manager, circa il 70% è sul prodotto obbligazionario, il resto su quello azionario: “I collocatori bancari hanno una netta prevalenza, in termini di masse, per l’obbligazionario, mentre nelle reti di consulenti finanziari questo rapporto è invertito”.
Parlando del fondo azionario, Rosati spiega che è preponderante la percentuale investita in titoli che non appartengono al FTSE Mib, una circostanza che non rispecchia la composizione del portafoglio della maggioranza di fondi Pir lanciati sul mercato italiano, dove, al contrario, i primi titoli in portafoglio sono quasi sempre di società che operano nel settore finanziario.
Parzialmente in contraddizione quindi con il “marketing” ufficiale, che vuole che siano uno strumento di sostegno alle Pmi e all’economia reale: “Sono d’accordo”, commenta Rosati, “però è evidente che in un momento di difficoltà del sistema bancario spostare delle risorse alle banche che poi potranno finanziare maggiormente il tessuto imprenditoriale diventa un beneficio indiretto. Noi, ecco, siamo più concentrati sulla parte diretta”.
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